Le chiavi inaspettate della comunicazione empatica
Lascia spazio perché sia l'altro a fare l'ultimo passo
Ti ricordi Inception?
Probabilmente il film più famoso di Christopher Nolan.
In quel film, Cobb, il protagonista, deve infiltrarsi nell’inconscio di un altro personaggio per innestare una nuova idea nella sua mente: sciogliere l’impero economico di famiglia, alla morte di suo padre.
La cosa difficile non era semplicemente far entrare un’idea nella mente di un’altra persona.
Per quello basta la comunicazione normale.
Io ti dico una cosa, tu mi ascolti e se mi presti attenzione quell’idea ti è entrata dentro.
La difficoltà stava nel far nascere DA DENTRO alla mente di un altro un desiderio autentico.
Quell’idea, Robert Fischer doveva pensare che fosse SUA.
Questo non è banale.
Inception è un film bellissimo, ma esiste un modo per fare questa cosa anche nella vita reale?
—
La scorsa settimana ti raccontavo che Lisa Cron è convinta che le storie siano l’unico modo per smontare una credenza radicata e limitante.
Ma costruire e usare delle storie funzionali non è semplicissimo.
Ci sono altri modi?
Alla scorsa newsletter Diego mi rispondeva così:
“Non sono così d’accordo che una storia possa sistematicamente fare meglio dei dati quando l’obiettivo è andare contro una verità che per il tuo interlocutore è identitaria.
Ho letto tanto del bias di conferma e la scienza non spiega tutto di questo fenomeno così complesso, ma credo che sia la storia che i dati devono riuscire a non metterti con la schiena al muro, a non lasciarti senza via di fuga se non quella di ammettere che hai sempre detto una cazzata.
C’è un modo per farti capire che hai sempre pensato una cazzata senza farti sentire un coglione? Sì, e non credo che passi per forza per una storia o per i dati.”
In altre parole, Diego sostiene che se vogliamo convincere dobbiamo LASCIARE SPAZIO, perché la trasformazione emerga da dentro al nostro interlocutore.
Questo è controintuitivo perché invece siamo spesso portati a saltare alle conclusioni.
Esprimere la nostra opinione.
Portare soluzioni.
Fornire dati incontrovertibili.
Esprimere giudizi.
Indicare l’azione richiesta.
Io me ne sono accorto, in un campo diverso da quello del lavoro ma non meno difficile: cercando di capire come comunicare meglio con mia figlia.
E ti assicuro che in alcuni casi convincerla a prendere l’antibiotico non era meno difficile di persuadere Robert Fischer a smantellare l’impresa di famiglia.
La strada della comunicazione empatica
Per me tanto è cambiato grazie ad un libro che ho letto qualche anno fa e che da allora venero come un oggetto prezioso.
Quasi ogni pagina ha un’orecchia o una sottolineatura perché ogni 5 minuti mentre lo leggevo avevo un momento ah-ah, in cui capivo qualcosa di nuovo e originale.
Se sei un genitore c’è dell’oro dentro.
Ma anche se non hai figli, puoi imparare tanto sulla comunicazione empatica da questo libro.
Oggi ti racconto 3 principi che per me sono stati illuminanti.
1. Praticare l’ascolto attivo
Spesso quando ci vengono portate delle situazioni problematiche ci sentiamo a disagio e la tentazione è uscirne il prima possibile. Fornendo soluzioni. O esprimendo giudizi.
Mentre il più delle volte basta solo ascoltare con attenzione, fare un passo indietro perché le soluzioni migliori emergano da chi abbiamo davanti.
Se ci pensi sono le basi del coaching queste.
Ma ci ricordiamo di farlo ogni giorno con i nostri figli, con i nostri compagni o con i nostri colleghi?
2. Descrivere invece di chiedere
Quando vuoi che qualcosa venga fatto, invece di comandare (o minacciare) prova a descrivere la situazione in modo che sia l’ALTRO a rendersi conto che c’è bisogno di agire.
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3. Usare le lodi descrittive
Quando un bambino viene da noi per mostrarci qualcosa di bello che ha fatto, la tentazione pigra è saltare al giudizio di valore sulla persona:
“Ma che bravo!”
Senza fare la fatica di guardare DAVVERO cosa è stato fatto.
Invece quello che puoi fare è fermarti un passo prima e fare il lavoro di osservare davvero quello che vedi.
In questo modo:
lo aiutiamo a notare dei particolari che magari lui stesso non vedeva
gli facciamo capire che stiamo prestando attenzione
e soprattutto…
facciamo in modo che sia poi LUI nella testa a fare il passaggio successivo e pensare “sono davvero migliorato tanto nel disegno!”
🤯
E quindi
Riprendendo in mano CPPIBTA&CAPTP (è lungo anche come acronimo!) mi sono accorto che c’è un denominatore comune nei principi della comunicazione empatica.
La chiave sta nel creare una situazione adatta (ascoltando, descrivendo, lodando nel modo corretto) perché poi la trasformazione avvenga da dentro al nostro interlocutore e sia lui a fare l’ultimo passo:
capire una cosa
correggersi
convincersi
passare all’azione
darsi un giudizio di valore
sentirsi capace
Prova alcuni di questi principi con i tuoi figli.
O con i tuoi colleghi!
Ciao!
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Chi sono?
Mi chiamo Augusto Pirovano e sono un esperto di business storytelling e presentation design: aiuto professionisti e startupper a raccontare in modo chiaro e convincente le loro idee e i loro progetti.
Ho lavorato con UniCredit, Luxottica, eBay, ING, Trenord, Agos e tanti altri.
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